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      Ma non ostante qualunque fidanza aver si potesse negl'ideali ripari, pure l'esperienza del passato e il timor del futuro, indussero i Romani a costruire fortificazioni di un genere più saldo e più sostanziale. I successori di Romolo aveano circondato i Sette Colli di Roma con un antico muro di più di tredici miglia41. Un recinto sì vasto può sembrare sproporzionato alla forza ed alla popolazione di quello Stato nascente. Ma era necessario di assicurare una vasta estensione di pascoli e di terreno dalle frequenti ed improvvise incursioni dei popoli del Lazio, perpetui nemici della Repubblica. Crescendo la Romana grandezza, si accrebbe a poco a poco la città, e la sua popolazione occupò tutto lo spazio voto, aprì le inutili mura, coprì il campo Marzio, e da ogni parte seguitò le pubbliche strade maestre con lunghi e bei sobborghi42. L'estensione delle nuove mura, erette da Aureliano e terminate sotto il regno di Probo, era magnificato dall'opinione popolare quasi a cinquanta miglia43, ma le accurate misure la ridussero intorno a ventuno44. Era questo un grande, ma tristo lavoro, giacchè i ripari della Capitale svelavano la decadenza della Monarchia. I Romani dei secoli più felici, che affidarono alle armi delle legioni la sicurezza dei campi delle frontiere45, erano ben lontani dal sospettare in alcun modo, che si dovesse mai per necessità fortificare la sede dell'Impero contro le irruzioni dei Barbari46.
      La vittoria di Claudio su i Goti, e il fortunato successo di Aureliano contro gli Alemanni aveano già restituito alle armi Romane l'antica lor superiorità sopra le Barbare nazioni del Settentrione.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Secondo
di Edoardo Gibbon
pagine 377

   





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