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      L'assedio di Palmira fu un oggetto assai più pericoloso ed importante, e l'Imperatore istesso, che con continuo vigore animava in persona gli assalti, venne ferito da un dardo. "Il popolo Romano" (dice Aureliano in una lettera originale) "parla con disprezzo della guerra, che io sostengo contro una donna. Egli non conosce il carattere, nè la potenza di Zenobia. È impossibile di enumerare i suoi bellici preparativi di pietre, di dardi, e di ogni sorta di armi lanciabili. Ogni parte delle mura è munita di due o tre baliste, e dalle sue macchine militari escono fuochi artificiali. Il timor del castigo l'ha armata di un disperato coraggio. Pure io confido tuttavia nelle Deità protettrici di Roma, che sono finora state favorevoli ad ogni mia impresa71". Incerto però della protezione degli Dei e dell'esito dell'assedio, Aureliano stimò più prudente consiglio di offerire articoli di una vantaggiosa capitolazione; alla Regina, un magnifico ritiro; ai Cittadini, i loro antichi privilegi. Furono rigettate ostinatamente le sue offerte, e dall'insulto fu accompagnato il rifiuto.
      La costanza di Zenobia era sostenuta dalla speranza, che in breve la fame costringerebbe l'esercito Romano a ripassare il deserto; e dalla ragionevole aspettativa, che i Re dell'Oriente, e specialmente il Monarca Persiano, si armerebbero in difesa della loro più naturale alleata. Ma la fortuna e la perseveranza di Aureliano superarono ogni ostacolo. La morte di Sapore, che accadde verso quel tempo72, divise i Consigli della Persia, ed i piccoli soccorsi, co' quali si tentò di sollevare Palmira, furono facilmente intercetti o dalle armi, o dalla liberalità dell'Imperatore.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Secondo
di Edoardo Gibbon
pagine 377

   





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