Il solo merito del Regno di Carino, che la storia possa ricordare, e la poesia celebrare, fu l'insolito splendore, col quale in nome suo e del fratello egli festeggiò i giuochi Romani del teatro, del circo e dell'anfiteatro. Più di venti anni dopo, quando i cortigiani di Diocleziano rappresentavano al loro frugal Sovrano lo splendore e la popolarità del magnifico suo predecessore, egli confessò, che il regno di Carino era veramente stato un regno di piacere180. Ma il Popolo Romano godeva con sorpresa e con trasporto di questa vana prodigalità, che la prudenza di Diocleziano poteva giustamente disprezzare. I più vecchi cittadini, rammentandosi gli spettacoli dei tempi andati, la pompa trionfale di Probo o di Aureliano, ed i giuochi secolari dell'Imperatore Filippo, confessavano che tutti erano oscurati dalla superiore magnificenza di Carino181.
Gli spettacoli pertanto di Carino non possono esser meglio illustrati che coll'osservazione di alcune particolarità, che la storia si è degnata di riferire, concernenti quelli dei suoi predecessori. Se ci limitiamo solamente alla caccia delle fiere, benchè criticar si possa la vanità dell'idea o la crudeltà dell'esecuzione, siamo costretti a confessare, che nè avanti nè dopo il tempo dei Romani tant'arte o spesa non è mai stata profusa pe' divertimenti del popolo182. D'ordine di Probo fu trapiantata nel mezzo del circo una considerabil quantità di grand'alberi, svelti dalle radici. Fu questa spaziosa e ombrosa foresta immediatamente ripiena di mille struzzi, di mille cervi, di mille daini e di mille cignali; e tutta questa varietà di selvaggiume fu abbandonata allo sfrenato impeto della moltitudine.
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