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      Quando comparve Tiridate sulle frontiere dell'Armenia, fu ricevuto con sincero trasporto di allegrezza e di fedeltà. Soffriva quel paese da trentasei anni le reali e le immaginarie angustie di un giogo straniero. I Monarchi Persiani aveano adornata la loro nuova conquista con magnifici edifizi; ma questi monumenti erano eretti a spese della nazione, ed abborriti come segni di schiavitù. Avea il timore di una ribellione suggerite le più rigorose precauzioni: era stata l'oppressione aggravata dagl'insulti, e la certezza dell'odio pubblico avea fatto prender tutte quelle provvisioni che render lo poteano ancor più implacabile. Abbiam già notato l'intollerante spirito della religione dei Magi.
      Le statue dei divinizzati Re dell'Armenia, e le sacre immagini del Sole e della Luna furono ridotte in pezzi dallo zelo del vincitore; ed il fuoco perpetuo di Ormuz fu acceso e conservato sopra un'ara eretta sulla sommità del monte Bagavo261. Era ben naturale che un popolo, da tante offese inasprito, si armasse di zelo per la causa della sua indipendenza, della sua religione, e del suo legittimo Sovrano; il torrente abbattè ogni ostacolo, e pose in fuga la guarnigione Persiana. Corsero i nobili Armeni sotto lo stendardo di Tiridate, tutti allegando i loro passati meriti, offrendo i loro futuri servigi, e domandando al nuovo Re quelle cariche e quelle ricompense, dalle quali erano stati con dispregio esclusi sotto lo straniero governo262. Il comando dell'armata fu conferito ad Artavasde, il cui padre avea salvato Tiridate nella sua infanzia, e la cui famiglia era stata trucidata per quell'azion generosa.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Secondo
di Edoardo Gibbon
pagine 377

   





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