Furono pertanto dinanzi al carro Imperiale portate le rappresentazioni dei fiumi, dei monti, e delle Province. Le immagini delle mogli, delle sorelle e dei figliuoli del Gran Re, presentavano un nuovo e gradito spettacolo alla vanità del popolo293. È questo trionfo ragguardevole agli occhi della posterità, per una distinzione di un genere meno onorevole. Fu l'ultimo trionfo che mai più Roma vedesse. Tosto dopo quest'epoca gl'Imperatori cessarono di vincere, e Roma cessò di essere la Capitale dell'Impero.
Il suolo, sul quale fu Roma fabbricata, era stato consacrato con antiche cerimonie e con immaginari miracoli. Ogni parte della città sembrava animata dalla presenza di qualche nume, o dalla memoria di qualche Eroe, e l'Impero del mondo era stato promesso al Campidoglio294. I nativi Romani sentivano e riconoscevano la forza di questa dolce illusione. Procedeva essa dai loro antenati, era cresciuta coll'educazione, ed in parte avvalorata dall'opinione della pubblica utilità. La forma e la sede del Governo eran tra loro intimamente connesse, e si credeva impossibile il trasferir l'una senza distruggere l'altra295. Ma la sovranità della Capitale rimase a poco a poco annullata nell'estensione delle conquiste; s'innalzarono le Province allo stesso livello, e le vinte nazioni acquistarono il nome ed i privilegi dei Romani, senza adottarne i parziali interessi. Per un lungo tempo però gli avanzi della antica costituzione, e l'influenza del costume conservarono la dignità di Roma. Gl'Imperatori, benchè forse di Affricana o Illirica estrazione, rispettarono la patria da loro adottata, come sede della loro potenza e centro dei296 loro estesi dominj.
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