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      Fu il matrimonio celebrato in Arles con ogni magnifico apparato, e l'antico collega di Diocleziano, che sosteneva di nuovo la sua pretensione all'Impero Occidentale, conferì al suo genero ed alleato il titolo d'Augusto. Piegandosi Costantino a ricevere quella dignità dalle mani di Massimiano, sembrava che abbracciasse la causa di Roma e del Senato; ma ambigue furono le sue proteste, lenta ed infruttuosa la sua assistenza. Egli considerava con attenzione l'imminente contesa tra i Sovrani dell'Italia e l'Imperatore dell'Oriente, ed era preparato a consultare o la propria sicurezza o la propria ambizione, secondo l'evento della guerra355.
      L'importanza della occasione richiedeva la presenza ed i talenti di Galerio. Alla testa di un possente esercito, raccolto dall'Illirico e dall'Oriente, egli entrò nell'Italia, risoluto di vendicare la morte di Severo, e di punire i ribelli Romani, o secondo che egli esprimeva le sue intenzioni nel furioso linguaggio di un Barbaro, di estirpare col ferro il Senato, e distruggere il popolo. Ma la perizia di Massimiano avea concertato un prudente sistema di difesa. L'invasore trovò i nemici fortificati, ed inaccessibili tutti i posti, e benchè si avanzasse sino a Narni, a sessanta miglia da Roma, il suo dominio nell'Italia era ristretto negli angusti confini del suo campo. Avvedutosi che si rendeva la sua impresa ognor più difficile, il superbo Galerio fece i suoi primi passi per una riconciliazione, e spedì due dei suoi più ragguardevoli Uffiziali a tentare i Principi Romani coll'offerta di una conferenza, e colla dichiarazione del suo paterno riguardo per Massenzio, il quale potrebbe ottenere assai più dalla sua generosità, che sperar potesse dal dubbio evento della guerra356. Furono costantemente rigettate le offerte di Galerio, ricusata con disprezzo la sua perfida amicizia; ed egli poco dopo scoprì che se, opportunamente ritirandosi, non provvedeva alla sua salvezza, avea qualche ragion di temere la sorte di Severo.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Secondo
di Edoardo Gibbon
pagine 377

   





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