CAPITOLO XVI.
Condotta del Governo romano verso i Cristiani, dal Regno di Nerone fino a quello di Costantino.
Se prendiamo a considerar seriamente la purità della Religione Cristiana, la santità de' suoi morali precetti, e l'innocente non meno che austera vita della maggior parte di quelli, che ne' primi tempi abbracciarono la fede dell'Evangelio, saremo naturalmente indotti a supporre, che anche dal Mondo infedele risguardata si fosse con la dovuta riverenza una dottrina così benefica; che le persone sapienti e culte, quantunque deridendo i miracoli, stimato avessero le virtù della nuova setta, e che i Magistrati avesser protetto, invece di perseguitare, un ordine di uomini, che prestava la più sommessa obbedienza alle leggi, sebbene sfuggisse le attive cure della guerra e del governo. Dall'altra parte se noi riflettiamo che la tolleranza del Politeismo era universale ed invariabilmente sostenuta dalla fede del Popolo, dall'incredulità de' filosofi, e dalla politica del Senato e degl'Imperatori di Roma, non sappiam vedere qual nuova colpa i Cristiani avesser commesso, e da che mai fosse stata provocata ed inasprita la blanda indifferenza dell'Antichità, e quali nuovi motivi potessero indurre i Principi Romani, che lasciavan sussistere in pace sotto il lor moderato dominio mille diverse forme di religioni senza prendervi alcun interesse, a punir severamente una parte de' loro sudditi, che si erano scelta una singolare, ma innocente maniera di fede e di culto.
Sembra che la religiosa politica degli antichi prendesse un più rigido ed intollerante carattere per opporsi al progresso del Cristianesimo.
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