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      Il pubblico ed anche parzial favore di Filippo verso i seguaci della nuova religione, ed il costante di lui rispetto per li Ministri della Chiesa diedero qualche colore al sospetto, che prevalse in que' tempi, che l'Imperatore medesimo si fosse convertito alla fede(120), e somministrò qualche fondamento ad una favola, che in seguito fu inventata, vale a dire ch'egli s'era purgato, mediante la confessione e la penitenza, dalla colpa contratta per l'uccisione del suo innocente predecessore(121). La caduta di Filippo introdusse con la mutazione dei Principi un nuovo sistema di governo, così oppressivo per li Cristiani, che l'antecedente lor condizione fino dal tempo di Domiziano, si rappresentava come uno stato di perfetta libertà e sicurezza, paragonandolo col rigoroso trattamento, ch'essi soffrirono sotto il breve regno di Decio(122). Le virtù di questo Principe difficilmente ci permetteranno di sospettare che un vile odio contro i favoriti del suo predecessore influisse sopra di lui, ed è più ragionevole di credere, che nell'esecuzione del suo disegno generale di restaurar la purità de' costumi Romani, desiderasse di liberar l'Impero da quella ch'esso condannava come una rea e nuova superstizione. I Vescovi delle città più considerabili furono condannati all'esilio o alla morte; la vigilanza de' Magistrati impedì per sedici mesi al Clero di Roma di procedere ad una nuova elezione; ed era opinion de' Cristiani, che l'Imperatore avrebbe sofferto con maggior pazienza un competitore alla porpora che un Vescovo nella Capitale(123). Se fosse possibile di supporre, che la penetrazione di Decio scoperto avesse l'orgoglio sotto il manto dell'umiltà, o che avesse potuto prevedere, che dalle pretensioni di autorità spirituale sarebbe insensibilmente nato il dominio temporale(124), ci cagionerebbe minor sorpresa, ch'egli risguardasse i successori di S. Pietro come i rivali più formidabili di quelli d'Augusto.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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