La corruzione de' costumi e de' principj di religione, della quale con tanta forza lamentasi Eusebio(137), si può riguardare non solo come una conseguenza, ma come una prova della libertà, di cui godevano ed abusavano i Cristiani sotto il regno di Diocleziano. La prosperità rilassato aveva i nervi della disciplina; prevalevano in ogni Congregazione la frode, l'invidia, e la malizia; i Preti aspiravano all'uffizio Episcopale, che di giorno in giorno diveniva un oggetto più degno della loro ambizione; i Vescovi, che contendevan fra loro per l'Ecclesiastiche preeminenze, pareva che con la lor condotta si attribuissero un secolare e tirannico poter nella Chiesa; e la viva fede, che distingueva sempre i Cristiani da' Gentili, molto meno si manifestava nella lor vita che ne' loro scritti di controversia.
Nonostante quest'apparente sicurezza, potrebbe un attento osservatore discernere alcuni sintomi, che minacciavan la Chiesa d'una persecuzione più violenta di tutte quelle, che aveva fino allora sofferte. Lo zelo ed il rapido progresso de' Cristiani svegliò i Politeisti dalla supina loro indifferenza nella causa di quelle Divinità, che il costume e l'educazione avevano appreso loro a rispettare. Le vicendevoli provocazioni di una guerra religiosa, che aveva continuato più di dugent'anni, esacerbò l'animosità delle parti, che combattevano. I Pagani s'irritavano per l'ardire di una oscura e nuova setta, che pretendeva di accusare di errore i propri compatriotti, e di condannare i loro padri all'eterna miseria.
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