Fecero eglino di tratto in tratto alcuni deboli sforzi per sottrarsi dal giogo de' Romani, e prendevano i più efficaci motivi di ribellarsi dalle loro opinioni religiose, come l'Autore lo avverte. Finchè i Romani li temettero, gl'infestarono col ferro e col fuoco: disarmati e sottomessi che gli ebbero, permisero ch'esercitassero pacificamente il proprio culto. Quando facevano ancor figura di Nazione, ed i Romani vollero profanare il lor tempio, perchè non valse questo stesso carattere, l'antichità della stirpe, e l'esempio di tutto il mondo?
Ma se noi discordiamo dall'Autore intorno a' Giudei, intorno ai Cristiani convenghiamo con lui. L'aver essi abbandonato il culto nazionale, ed il farlo abbandonare da altri, era la vera cagione della persecuzione. Forse i Romani erano disposti a soffrire ogni culto, purchè non ve ne fosse uno che pretendesse di escludere gli altri, e di distruggere quello dell'Impero. Il Cristianesimo voleva essere solo, riprovava com'empi tutti i culti della terra, e faceva ogni sforzo per far entrar tutto il mondo nella sua comunione; e perciò tutto il mondo si voltò contro di esso.
Come lo zelo esclusivo ed intollerante de' Cristiani, ch'era la cagione naturale della persecuzione, poteva essere cagione naturale de' loro progressi, si è nel precedente capo veduto: qui dobbiamo cercare, se questa prima cagione di persecuzione rimuova da' persecutori la taccia d'ingiustizia, come s'ingegna di fare l'Autore.
Egli mette in contrasto queste due massime: ogni uomo ha diritto di disporre della sua coscienza e del suo giudizio particolare: e non si deve esitare a conformarsi al culto nazionale, come ai costumi, agli abbigliamenti, ed alla lingua della patria.
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