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      Riferisce che i Cristiani riclamavano i diritti inalienabili della coscienza; ma soggiunge, che i loro argomenti erano dispregiati da' filosofi, cui pareva un delitto enorme ed irremissibile l'abbandonare il culto della nazione.
      Obblighiamolo a scegliere. S'egli riconosce per giusta la prima massima, uopo è, che si unisca con tutti i Cristiani a detestare l'ingiustizia dei loro antichi persecutori. S'egli vuol fare l'apologia di questi, bisogna che mostri con buone ragioni che sia equa la massima, che fa recitar da filosofi, come da interlocutori di scena. Non si deve esitare? Perchè? Ma ecco il carattere del Sig. Gibbon: asserisce e poi tace; giacchè non pare a noi, che una similitudine insensata possa stare invece di prova: i costumi, l'abbigliamento, la lingua sono cose indifferenti: che ogni culto religioso debba guardarsi colla stessa indifferenza, ha bisogno di prova, e prove l'Autore non ne suol dare.
      L'uomo per la verità e per la salute non può essere indifferente, come circa il modo di parlare e di vestirsi: noi non crediamo, che alcun uomo ragionevole possa mettere in dubbio la verità di questa massima contraria a quella de' pretesi filosofi.
      Quando uno ha scoperta la verità e la strada della salute, ha diritto di fare tutto ciò ch'è necessario a conseguirla, e di astenersi da tutto ciò che nuoce al suo fine. Questa seconda massima è dotata della stessa evidenza.
      Il diritto, ch'è in uno di fare o di non fare una cosa, induce agli altri obbligazione di non molestarlo. Questo è un assioma di gius naturale.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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