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      Fuggivano quelli che non erano stati ancora denunziati o arrestati.
      Libertà di difese non ve n'era, nè ve ne poteva essere. Non si trattava di verificare un delitto: e l'accusato confessava e persisteva nel suo proponimento, e non era capace di difese; o tornava alla Religione degl'Idoli, ed era assoluto, applaudito, premiato.
      I Libellatici, così detti, perchè si munivano de' falsi attestati che compravano dall'avarizia de' ben educati, de' giusti, de' filosofi Ministri, furono dalla Chiesa creduti rei di grave peccato, e questo consisteva nello spergiuro e nello scandalo. S. Cipriano si esprime così: nefandos idolatriae libellos. Ma il N. A. dice, che era riguardata come una venial mancanza che si espiava con una leggera penitenza, ingannato per avventura dalle parole del Mosemio: modica molestia veniam delicti sui ab Ecclesiis impetrabant, quasi impetrare veniam, significasse che il peccato era veniale. E le parole modica molestia esprimono, che le Chiese gli ricevevano alla comunione senza molto stento, giacchè essi realmente non avevano negata la fede.
     
      Digressione quinta sopra gli editti di Tiberio
      e di Marco Aurelio.
     
      RISTRETTO. L'Apologetico di Tertulliano contiene due esempi della clemenza degl'Imperatori, ma molto sospetti; e sono gli editti di Tiberio e di Marco Aurelio. Quanto al primo, non è verisimile, che Pilato informasse l'Imperatore della sentenza di morte da se ingiustamente pronunciata: nè che Tiberio conosciuto al dispregio di ogni Religione, volesse collocar G. C. tra gli Dei di Roma; nè che il servile Senato gli si opponesse; nè che questo Principe proteggesse i Cristiani dalla severità di leggi, che ancora non erano state fatte.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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