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      L'ardire che nasceva dalla cognizione della propria lor forza, fu accresciuto dalla notizia che loro portò un disertore, che Cesare con un debole esercito di tredicimila uomini occupava un posto circa ventun miglia distante dal loro campo di Strasburgo. Con tali disuguali forze, Giuliano risolvè di cercare e d'incontrare l'esercito Barbaro, e fu preferito il periglio d'un'azione generale alle tediose ed incerte operazioni d'attaccare separatamente i corpi dispersi degli Alemanni. I Romani marciavano raccolti fra loro in due colonne, la cavalleria alla destra, e l'infanteria alla sinistra; ed il giorno era così avanzato, quando giunsero a vista del nemico, che Giuliano desiderava di differir la battaglia fino alla mattina seguente, e dar tempo alle sue truppe di ristabilir l'esauste lor forze co' necessari aiuti del riposo e del cibo. Non pertanto, cedendo con qualche ripugnanza alle grida de' soldati, ed anche all'opinione del suo Consiglio, gli esortò a giustificar col valore quell'ardente impazienza, che in caso di una rotta si sarebbe universalmente tacciata co' nomi di temerità e di presunzione. Suonarono le trombe, s'udì pel campo il clamor militare, e le due Armate corsero con ugual furore all'attacco. Cesare, che in persona comandava l'ala destra, contava sulla destrezza de' suoi arcieri e sul peso dello loro corazze. Ma furono immediatamente rotte le sue linee da un irregolar mescuglio di cavalleria e di fanteria leggiera, ed ebbe la mortificazione di vedere la fuga di seicento de' più rinomati suoi corazzieri(570). I fuggitivi furono trattenuti e riuniti dalla presenza ed autorità di Giuliano, che non curando la propria salute, si gettò avanti di loro, e mettendo in contro ogni stimolo di vergogna e d'onore, li ricondusse contro il vittorioso nemico.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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