Non la riacquistai che in casa dei suoi padroni, ove mi trasportò.
Là mi lasciò andare in terra ed io mi riebbi; ma subito dopo mi corse dietro, acchiappandomi quando colla bocca, quando colle zampe, per poi lasciarmi di nuovo, e di nuovo rincorrermi e chiapparmi. Questa alternativa di boccate e di zampate mi dava un tale crepacuore e mi strapazzava in modo che sarei morto anche se non mi avesse mangiato; se una donna non fosse apparsa e non gli avesse tirato sulla schiena una granata, nel momento in cui stava per riabboccarmi.
Povero micio... povero micino! gridò tutta irata una vecchia ragazza dalla voce nasale, accorsa là contemporaneamente. Non avete un'oncia di cuore voi... disse alla donna e facendo l'occhio tenero al mio aggressore che d'un salto schizzò dalla finestra sul tetto, tentò di chiamarlo a sé.
Non appena vide però di che si trattava prese me, colla sua mano scarna e ghiaccia continuando pur sempre a compassionare il gatto, e s'intenerì nel vedere che facevo sangue da un'ala. Mi portò sul suo letto, e poverino qui, poverino là mi curò con vera sollecitudine materna. Ma dopo tutto fui rinchiuso in una gabbia come tanti altri uccelli che la vecchia zitella teneva in schiavitù.
Essa capitava ogni mattina e quando aveva fatto intorno a me quanto stimava opportuno di fare, appendeva la mia gabbia ad uno dei chiodi più alti di una certa parete e fino al giorno dopo, non la rivedevo più. Era capace di prender subito subito il signor gatto in collo, prodigando a lui pure tutte le galanterie del mondo e baci e carezze a profusione.
| |
|