Dopo alcuni giorni mi collocava da un suo conoscente che aveva uno studio di scultura a Sarzana. La zia contentissima di non avermi più dintorno, dette subito il consenso necessario.
La mia occupazione consisteva nel tenere in ordine lo studio, gli arnesi, e nell'aiutare lo scultore mentre modellava. A tempo avanzato egli m'insegnava il disegno, nel quale feci presto rapidi progressi. Ogni domenica per altro mi dava libertà ed io andavo alla segheria ed intanto, passando dalla villa, sentivo se c'erano notizie del babbo, ma mi trattenevo poco perché la vista della zia mi rammentava cose troppo penose. Essa brontolava meno, era diventata pigra, grassa e non pensava ad altro che a mangiare.
Una sera d'inverno il contadino che abitava vicino alla villa, venne a Sarzana correndo per chiamare il medico e me perché la zia moriva. Aveva avuto un colpo apoplettico e non dava più segni di vita.
Quando giungemmo lassù, aveva ripresi i sensi, ma le gambe erano rimaste paralizzate. Vedendo quella donna, che era sorella di mio padre, immelensita, paralitica sentii svanire tutto il rancore che le portavo e provai un senso di profonda commozione.
Intanto io aveva imparato a sbozzare il marmo, guadagnavo qualche cosa; presi una donna che assistesse la zia e continuai a lavorare con maggior ardore di prima.
L'approvazione di mio padre mi era di stimolo a fare. Incominciai a modellare in creta, guadagnai meglio e scrissi a mio padre di venirmi a raggiungere, perché ero uomo ed avevo mezzi sufficienti per bastare al mantenimento di noi tre.
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