- A che pensate, babbo? - disse la Nennella. Essa lo aveva sempre chiamato così, perché pel bene che gli voleva si considerava veramente come sua figlia.
- Penso, - rispose Tonio, - che una volta in quella stalluccia, a quella mangiatoia, dove ora va a pollaio la gallina, c'è stata una mucca bella come quella che è passata ora di qui. Ero ancora ragazzo. Mi' padre mi diceva che, per lui, quella bestia, era una gran risorsa. Per governarla ci voleva poca spesa e poca fatica, e il guadagno che si ricavava dal latte e dal concime era di molto. Venne il male nelle bestie, ce la portò via; e fu una rovina. E per tirare innanzi ce ne volle! Ma io era giovine e robusto; e mio padre non tanto vecchio, e si poté riparare. Ora nella mi' vecchiaia la ci starebbe proprio bene una muccherella.
E Tonio dette un altro sospirone.
- Ma ci vuol pazienza, - soggiunse, - bisogna invece contentarsi di una misera gallina. Per di più l'ha smesso anche di far l'ova, perché la vuol covare.
La Nennella aveva ascoltato mezzo distratta tutto il discorso di Tonio. Ma alle ultime parole di lui alzò la testa con un moto vivace, lo guardò fisso coi suoi occhioni neri, e mise l'indice della mano destra sulle labbra come persona colpita improvvisamente da un pensiero, e stette così un momento. Poi si alzò e, di corsa, andò in casa.
- E ora? - disse Tonio maravigliato, seguendola, - che ti frulla per la testa?
La Nennella non rispose. Era troppo occupata. Aveva preso un pezzetto di gesso e sul muro della cucina, annerito dal fumo, si era messa a far dei numeri.
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