- Sto qui col mio secondo padre, o meglio col mio babbo vero. - Scrollò la testina e aggiunse:
- Se avesse conosciuto il mio povero bambino avrebbe capito, ma siccome non lo ha conosciuto è impossibile che capisca che cosa voglio dire.
- Deve aver fatto un tirocinio di molti e molti anni prima di imparare a lavorare così bene - disse Momo guardando la bambola sorridente che Giannina aveva in grembo, e le ditine fatate che lavoravano presto presto.
- Non ho mai imparato a mettere un punto. Provando e riprovando ho imparato da me. Da principio lavoravo male, ora le cose vanno meglio.
- E io che son dovuto stare tanti anni a imparare il mestiere di stipettaio! - esclamò il ragazzo. - Ma ora voglio dirle una cosa: le farei volentieri una piccolezza.
- L'accetterò con piacere - rispose la donnina guardandolo fisso e piegando la testa da un lato. - Lei è un cliente di nuovo conio. Che cosa vuol farmi?
Momo dette una guardata giro giro nella stanza:
- Le farò una panchettina per mettere a sedere le bambole, oppure un cassettino per riponerci la seta ed i rocchetti, e se vuole posso farle una gruccia al tornio. Questa appartiene forse al suo compare.
- Appartiene a me, proprio a me - rispose Giannina arrossendo in faccia e nel collo. - Sono zoppa.
Momo arrossì pure perché era un buon ragazzo, nonostante quella bocca che pareva un forno, e tutti quei bottoni che portava.
- Sono contento che sia sua - disse sollecitamente - perché sono sicuro che la farò meglio per lei che per chiunque altro. Mi faccia vedere la gruccia.
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Momo Giannina Giannina
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