- E meglio che veda come me ne servo - disse Giannina alzandosi. - Guardi faccio così, qui c'è mio, qui c'è mio, qui c'è mio! Non è un bel vedere.
- Mi pare che debba durare molta fatica - disse Momo affettuosamente.
La piccola sarta sedé di nuovo e gli dette la gruccia, ringraziandolo colla voce e con uno sguardo di una dolcezza singolare. Momo misurò la lunghezza della gruccia e la larghezza della forcella e la rese gentilmente a Giannina.
- Sarà davvero un piacere per me di farla. Ho saputo che canta tanto bene e se mi cantasse una canzone mi pagherebbe meglio che con qualsiasi moneta.
- È gentile davvero, e accetto la sua offerta - disse la donnina sorridendo. - Credo che lui non se ne avrebbe per male - aggiunse pensierosa; eppoi scrollando la testa riprese - e se se ne avrà per male, tanto peggio per lui, doveva venir prima.
- Parla del suo compare? - domandò Momo.
- No! no! Di lui, di lui, di lui - disse Giannina gettando uno sguardo furbesco sul povero Momo che la fissava sorpreso.
- Di lui, di lui, di lui - ripeté Momo senza batter palpebra.
- Sì parlo di lui che doveva venire a corteggiarmi e sposarmi.
- Ah! di lui - disse Momo. - Chi è questo lui?
- Che specie di domanda! Come se potessi saperlo! - esclamò la piccola sarta.
- Quando verrà?
- Dio mio, come posso saperlo? Qualcuno credo che debba venire un giorno o l'altro. Ecco quanto so di lui.
A queste parole Momo gettò addietro la testa e rise di cuore e pareva così contento che la sarta incominciò pure a ridere e il signor Riah entrando nella stanza fece il terzetto.
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