Capì subito che quel cavallo fatato era opera del nano.
- Ah, Nano, nanuccio! - gli disse pentito. - Se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote.
Il Nano continuava a contorcersi dalle risa:
- Ah! ah! ah!
E a vedergli fare a quel modo, tutta quella gran gente ch'era lì cominciarono a ridere anch'essi, e poi la corte e poi perfino la regina:
- Ah! ah! ah!
Si tenevano i fianchi, non ne potevano più. Soltanto quel povero re rimaneva lì così afflitto e scornato che faceva pietà.
- Ah! Nano, nanino bello! Se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote.
- Maestà, se dite per davvero, rispose il Nano, prima dovrete riprendervi quel che mi deste l'altra volta.
- Che cosa ti diedi?
- Un bel calcio nella schiena.
Il re esitava, avea vergogna di ricevere un calcio in quel posto davanti il popolo e la corte. Ma l'amore della figliuola gli fece dire di sì.
Si rivoltò colle spalle al Nano e stié ad aspettare la pedata; però il Nano volle mostrarsi più generoso di lui; e invece di menargli il calcio, disse:
Cavallo, mio cavallo,
Non metter piedi in fallo;
Torna sul piedistallo,
Cavallo, mio cavallo.
In un batter d'occhio, cavallo e reginotta furono lì. Allora il Nano disse al re:
- Maestà, datemi un pugno sulla gobba!... Non abbiate paura.
Il re gli diede un pugno sulla gobba e questa sparì.
- Maestà, datemi una tirata alle gambe! Non abbiate paura!
Il re gli diè una tirata alle gambine e queste, di botto, gli si raddrizzarono.
- Maestà, afferratemi bene, voi per le braccia, e stiratemi forte.
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