Se posso prendermi la mia parte d'eredità non tremo più a questo mondo.
- Mi pare - disse la Fata - che si viva male aspettando il danaro altrui.
- È vero - rispose il gigante. - Ma aspetto da quando ero un bambino piccino.
La Fata guardò meravigliata il suo compagno. - Mi pare impossibile che tu sia stato piccino.
- Eppure un tempo non ero più alto di un cavallo.
- E io ero della grossezza di un pisello.
Il gigante si mise a ridere. Ma parlando di piselli si rammentò che aveva fame.
- Dobbiamo fermarci a chieder qualcosa da mangiare.
- Fermiamoci pure, ma non nello stesso posto - disse la Fata; - tu devi avere una fame da lupi.
- Bene. Nel fondo della valle a cinquanta miglia di qui c'è un casone molto grande. Io anderò in quello là a mangiare e, tu puoi andare dal Conte. Ti accompagnerò fino al limite della foresta. Quando hai mangiato torna su questa querce e faremo la strada insieme. Il Conte è povero povero, ma per te avrà sempre assai da mangiare.
Il Gigante depose la Fata in terra, e mentre essa andava al castello, egli si dirigeva alla casa nella valle.
Dopo due o tre ore si fermavano nello stesso luogo, il Gigante riprendeva sull'indice la Fata e continuavano il viaggio insieme.
- Mi raccontasti che il Conte era povero, ma vorrei che tu vedessi coi tuoi occhi quanto è povero. Quando sono arrivata, lui e la moglie avevano appunto terminato di desinare e eran davanti al camino spento. Stavano parlando, non ho voluto disturbarli e son saltata sulla tavola per trovar da mangiare. Devono aver fatto un desinare molto misero.
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