- Sommareg! - esclama il Gigante. - Che impudenza! È cugino in nono grado per parte di donna. Dov'è? Conducetemi da lui.
- Non credo che riceva oggi - rispose il guardiano.
- Apri la porta o ti stritolo! - urlò il Gigante.
Il guardiano impallidì e spalancò la porta per lasciar passare il Gigante e la Fata.
In una gran sala interna, dinanzi ad un bel fuoco stava seduto un gigante vecchio vecchio.
- Come mai, Sommareg, vi siete appropriato questo castello? - urlò il giovane Gigante.
- Ero amico del vecchio - balbettò spaventato Sommareg.
- Dite piuttosto che avete respinti i cento eredi e vi siete preso ogni cosa.
- No davvero; ognuno ha avuta la sua parte.
- Io sono uno di quelli che non hanno avuto nulla e voglio ciò che mi spetta. Venite con me che scelga.
- Non posso; mi sento male. Vi manderò un intendente.
Suonò e comparve un uomo piccolo piccolo con un testone di capelli arruffati, da una parte bianchi come la neve, e dall'altra neri come l'inchiostro.
- Ecco un altro erede. Dategli la sua parte e lasciatelo scegliere.
L'intendente lo guidò in molte sale piene di armature d'acciaio.
- Se le prendessi ci vorrebbero carri e carri per portarle via. Non c'è altro nel castello?
- Tutto il rimanente appartiene al mio padrone.
- Fammi scegliere, se no...
L'intendente tutto sgomento lo condusse in molte altre sale riccamente addobbate.
- Qui c'è del buono - disse il Gigante. - Io segnerò col gesso quel che voglio e tu me lo manderai.
- Sicuro - rispose l'intendente. Vi manderò tutto dopo che sarete partito.
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