E il Gigante segnava, segnava tutto; aveva già segnato di che ammobiliare un castello.
- Dov'è il denaro? - domandò.
- Signor mio! - esclamò l'intendente tutto sgomento. - Del denaro non ce n'è.
Il Gigante non rispose, ma prese l'omino per le gambe e lo capovolse. Una chiave grossa grossa gli uscì di tasca.
- Ecco la chiave del denaro. Non ti disturbare, lo troverò da me.
Ma mentre si dirigeva verso la parte più bassa del castello, l'intendente gli correva dietro tutto disperato. Il Gigante aprì la porta e dentro trovò sacchi d'oro e d'argento ammonticchiati lungo le pareti. Col solito pezzo di gesso ne segnò dozzine e dozzine.
- Bene, signore; ve li manderò dopo che sarete partito.
- Che cosa c'è in questi sacchetti piccoli?
- Sono diamanti signore, segnatene quanti volete.
- Ne segnerò uno - disse il Gigante alla Fata che stava nascosta nel suo colletto - e quello sarà per te.
- Per me? - esclamò l'intendente che non vedeva la Fata.
- Grazie - rispose essa tutta contenta. - Mi piaccion tanto i diamanti! Son contenta che lo zio del tuo nonno sia morto.
- Non lo dire - rispose il Gigante - non sta bene.
Dopo che ebbe finito di segnare, si rivolse all'intendente:
- Non voglio disturbarvi - disse il Gigante. - Porterò con me quel che ho scelto. E postosi in tasca il sacchetto coi diamanti, si caricò sulle spalle i sacchi di monete, e andò via senza voltarsi.
Quando giunse nella gran sala, dove stava il Gigante vecchio dinanzi al fuoco, si fermò un momento. - Porto meco la mia parte di denaro - ho segnato quel che ho scelto e dovete mandarmi tutto dentro la settimana.
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