- Nessuno mi vide mai soffrire - mormorò fra i denti.
- Ho raccolto i lamenti di uomini più forti e più potenti di te - disse l'aquila. - Sono la fata della notte e i forti confidano soltanto alle tenebre i loro dolori.
- E che cosa debbo fare per farmi amare? - domandò il conte.
- Bisogna che tu parta per andare alla ricerca del dittamo del buon cuore, e tu ne porti a casa un ramoscello verde.
- E dove fiorisce?
- In molti luoghi, specialmente vicino alla miseria. L'aquila spiccò il volo e sparì.
Il conte rimase lungamente a pensare. Finalmente esclamò:
- È meglio che tenti l'impresa, - e scese nella camera della contessa, la quale era occupata a trapuntare in mezzo alle sue ancelle.
Queste s'inchinarono profondamente dinanzi al conte e uscirono; la contessa non osava alzar gli occhi dal lavoro, e da tanto tremava non poteva infilzar l'ago nella stoffa.
- Parto - le disse il conte - debbo fare un lungo viaggio e vi lascio padrona assoluta, per tutto il tempo della mia assenza di quanto è nel castello; uomini e cose.
Il conte la guardava e s'accorse che l'annunzio del suo viaggio la rallegrava e ne provò dispetto, ma seppe dominarsi. Chiese di vedere il bambino, che strillò come un disperato quando volle baciarlo, e fatto sellare un cavallo, prese armi senza stemma, si vestì di umili panni si calò la visiera sul volto e partì solo.
Traversava una sera una pianura deserta dove non cresceva neppure un cardo, quando una vecchina tutta grinzosa con un fastello di legna in testa gli s'avvicinò dicendogli:
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