Il conte seguitava a stare zitto e buttava giù qualche raro boccone tanto per non parere.
Quando ebbero finito la vecchina accese un lume e condusse il conte nell'unica cameruccia della capanna e accennandogli l'unico letto gli disse:
- Coricatevi siete più stanco di me.
Il conte si coricò, ma gli ci volle un pezzo a addormentarsi, benché cascasse di stanchezza e appena chiuse gli occhi gli parve d'esser trasportato nel suo castello. Tutti erano cambiati: i servi portavano alta la testa e scherzavano lavorando, le ancelle della contessa facevano echeggiare le sale delle loro allegre risate, la contessa passeggiava sulle terrazze tenendosi in collo il suo bambino e rideva come non l'aveva mai veduta ridere.
Il conte si destò e volle partire. Gli pareva di soffocare in quella capanna.
Andò per sellare il suo cavallo; la vecchina era già desta.
- Ditemi buona donna - le domandò mettendole in mano alcune monete d'oro - dove fiorisce la pianta di dittamo del buon cuore?
- Vicino al castello del conte non ci alligna, ma più che salite verso la montagna e più doventa comune. - Il conte la ringraziò, montò a cavallo e si diresse verso la montagna.
Sali sali la foresta doventava più folta e la neve incominciava a cadere.
Nonostante il conte non si sgomentava e spronava il cavallo. Voleva tornar a casa col ramoscello verde e tornarci presto.
A un tratto si trovò ad un crocicchio. Vedeva quattro strade lunghe, interminabili e non sapeva quale prendere: intanto la neve e il vento ghiacciavano il povero conte.
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