Riccardo, figliuolo unico di agiati possidenti nel remoto castello di Montevago in Toscana, fu da essi mandato giovinetto alla capitale perché ivi imparasse, come dicevano, le buone creanze, e in ogni più lodato sapere s'ammaestrasse. Gli fecero copioso corredo di biancherie e di vesti, gli impinguarono di belle monete la scarsellina, molto lo raccomandarono ad una famiglia con cui avevano lontana parentela e antica amicizia; e di nulla temendo, perché il figliuolo mostrava indole buona e perché erano gente semplice e ignara delle arti corruttrici di una società depravata, si tennero contenti del fatto loro.
Godevano i poveretti in leggere e rileggere le buone nuove che i parenti davano loro dell'amato Riccardo e le descrizioni che questi faceva delle belle cose vedute, degli studi a cui con tutto l'animo si poneva, dei divertimenti che a ricompensa della durata fatica ei s'andava prendendo.
Quando poi al sopraggiungere delle feste di Pasqua e al tempo delle vacanze autunnali Riccardo tornava a casa, era per tutti una gioia da non si dire. Il padre e la madre piangevano di consolazione a vederlo sano, florido, allegro, vestito con eleganza, svelto e garbato, rimanevano estatici a udirlo parlare con eloquenza di tante e tante cose; sfoderare una dottrina che pareva loro prodigiosa.
Il castaldo applaudiva a tutto quello che i padroni ammiravano nel signorino; e la vecchia fantesca, l'amorosa Marianna, ne gongolava.
Questa donna che aveva già passato la settantina, era entrata in quella casa fin dalla sua fanciullezza quando vivevano i nonni di Riccardo, aveva veduto nascere il padrone, era stata per così dire, la di lui seconda madre, tenendolo in collo e assistendolo nei primi suoi passi, e nelle malattie; e quando ei prese moglie fu fatta cameriera della sposa; e quando nacque il sospirato primogenito ebbe per lui le stesse cure, lo stesso affetto che pel padre.
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