A trovarsi sola, senza le sorelle, le si rizzarono i capelli dalla paura, e si messe a piangere come una vite tagliata. La luna ebbe pietà delle sue grida e comparve sull'orizzonte e sempre più le si avvicinava e il suo disco prendeva aspetto umano.
La luce della luna avvolgeva tutta la principessina. A un tratto le parve di vedere che la luna le facesse cenno di seguirla, e si messe a camminare. La luna alla fine si fermò davanti a una casina piccina piccina, e mandò tutti i suoi raggi dentro una finestrina larga quanto il palmo della mano.
Era la casina delle fate.
Vedendo tutto quel chiarore, le fate crederono che fosse giorno; si alzarono e vennero fuori dell'uscio colla calza in mano. Erano due donnine piccine piccine, con un gran scuffione in capo.
La principessina ebbe paura anche di loro e voleva fuggire, ma esse, con una vocina che pareva un filo, le dissero:
- Non ti faremo nulla di male, e se tu vuoi rimanere con noi, faremo morire le cornacchie e la tua mamma guarirà.
La principessa sentendosi dire in quel modo non fiatò più. Le voleva tanto bene alla sua mamma che per lei avrebbe fatto qualunque cosa.
Le fate la condussero in una camerina e le dissero di andare a letto e dormire, perché doveva essere stanca. La principessina obbedì e si addormentò. Nell'aprir gli occhi vide la luna sul letto che la guardava.
- Ti voglio regalare un po' del mio chiarore - disse la luna - e i tuoi capelli crescendo saranno d'argento. Sei tanto povera che almeno tu abbia quella ricchezza - e la luna dopo quella fermatina seguitò la sua passeggiata notturna.
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