Venuto il tempo delle vacanze, Leoncino fu condotto a villeggiare in casa di un suo zio, ricco possidente di campagna.
Questo zio aveva una nidiata di cinque figlioli, tutti bambinetti fra i sette e gli undici anni. Figuratevi la contentezza di Leoncino quando si trovò in mezzo a quest'altri cinque monelli.
Com'è naturale, pensarono subito, tutti d'accordo, di fare i soldati. Arnolfo, il più piccolo dei cugini, nominato trombettiere di reggimento, andava avanti al corpo d'esercito, suonando la tromba con la bocca. Raffaello, il più alto di tutti, faceva da cavalleria, per cui era obbligato a camminare sempre di trotto e di galoppo e qualche volta anche a nitrire e tirare i calci, a uso cavallo: Asdrubale e Gigino rappresentavano il grosso della fanteria. Tonino guidava i carri dell'ambulanza, tirandosi dietro il carretto dell'ortolano per caricarci su, dopo la battaglia, i morti e i feriti, e Leoncino... Leoncino poi, come potete immaginarvelo, era il comandante generale e marciava sempre alla testa dell'esercito.
Tutte le mattine che Dio mandava in terra, i sei ragazzi, dopo aver preso con sé il pane e il companatico per fare il rancio, si mettevano in marcia, armati di tutto punto, avviandosi a combattere qualche gran battaglia nel vicino bosco distante forse un chilometro dalla villa.
Arrivati a mezza strada, facevano alto in mezzo a un prato, e lì, sdraiati sull'erba, mangiavano, o, per dir meglio, divoravano il rancio, mentre uno di loro, s'intende bene, rimaneva a far da sentinella avanzata in cima al prato, per dare il grido d'allarme, nel caso che i nemici fossero sbucati fuori all'improvviso.
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