- Soldati! In riga di battaglia!
A questo comando, i ragazzi si posero tutti in fila, rimanendo immobili e col loro fucilino di legno appoggiato sulle spalle.
Allora il signor Giandomenico riprese:
- Visto e considerato che un generale d'armata, il quale si mette a fuggire perché ha paura di un rospo, non è degno di continuare a comandare uno dei primi eserciti d'Europa (i soldati chinarono il capo in segno di ringraziamento) ordiniamo e vogliamo che il generale Leoncino si dimetta subito dal supremo grado che ha tenuto finora e prenda invece gli scevroni di caporale. Il prode Raffaello, comandante di tutta la cavalleria, è incaricato di farsi consegnare da Leoncino la sua spada d'onore.
Raffaello, senza mettere tempo in mezzo, andò subito in fondo alla stanza: e muovendosi di là e camminando un po' di trotto e un po' di galoppo, si presentò dinanzi al povero generale, e fece l'atto di chiedergli la spada.
Leoncino non disse una mezza parola: ma seguitava a tentennare il capo, come fanno i chinesi di gesso. Alla fine, visto che non c'era scampo, cominciò adagio adagio a sfibbiarsi la spada dalla cintola: e sfibbiata che l'ebbe, figurò di consegnarla in mano a Raffaello, ossia al comandante della cavalleria.
Ma invece di consegnargliela, gliela batté sulle dita. E pare che gliela battesse piuttosto forte, perché l'altro si risentì tutto inviperito, e ne nacque un combattimento a corpo a corpo fra la cavalleria e il generale. E chi lo sa come questo combattimento sarebbe finito, se il signor Giandomenico non ci fosse subito entrato di mezzo con le buone maniere, dando, cioè, un bello scappellotto al generale e pigliando per un orecchio la cavalleria.
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