Il povero padre specialmente faceva pietà. Senza quella creatura non aveva più forza di lavorare, non aveva più energia, nulla.
Si messe in cammino per cercarla e cammina cammina arrivò sulla sponda di un gran fiume, largo stempiato che pareva il mare. Il pover'uomo si lagnava.
- Come avrebbe fatto a passarlo? Non c'era né una barca, né un ponte; nulla.
Quando annottò era sempre lì che gemeva da far pietà ai sassi.
A un tratto vide sorgere dal fondo limpido del fiume un gran chiarore, ma un chiarore così forte che gli permetteva di vedere la ghiaia nel letto del fiume, e i pesci che guizzavano nell'acqua.
Avvolta in quel chiarore c'era la fata non più bella e sorridente come l'aveva veduta le due prime volte, ma collo sguardo severo come eragli comparsa in sogno.
Lentamente s'inalzò sopra le acque.
- Non mi hai creduto - gli disse severamente - e vedi a che cosa ti trovi.
Il pover'uomo si raccomandava.
- Ora le credeva; sarebbe andato chissà dove per riavere la sua Miseria. - La fata vedendolo piangere e supplicare a quel modo si rabbonì.
- Bisognava che penetrasse nella fortezza dove si era barricato il nano dopo che gli aveva rubato il balsamo, l'anello e la tromba; lì dentro c'era la sua Miseria, ma l'unico ingresso a quella fortezza era difeso da una porta tutta di ferro che ci voleva la chiave d'oro per aprirla e la forza di dieci giganti per farla girar sui cardini.
- Se gli dava la chiave d'oro, la forza di dieci giganti l'avrebbe avuta, pur di riportarsi a casa la sua Miseria. - La fata si trasse dalla cintura la chiavina d'oro e ordinò alle nuvole di transitare il manuale dalla parte opposta del fiume.
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Miseria Miseria Miseria
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