Dunque il sor Timoteo non accozzava mai il desinare colla cena, ma non per questo dimagrava. Era anzi un omaccione forte, e la sora Timotea era un donnone alto come un granatiere, e i figlioli a forza e voce non stavano male neppur loro. Invece i due garzoni erano secchi allampanati che facevano pietà, e tremavano sempre dal freddo.
Con tutte le sue disgrazie il sor Timoteo aveva una voglia matta di divertirsi. Da anni e anni quella voglia restava insodisfatta, ma non c'era domenica che il sor Timoteo non dicesse:
- Se in questa settimana vendo quella bambola - e accennava ad una bambola colla testa di cera che stava sotto una campana, perché le mosche non la ricamassero - andiamo tutti a fare una gita di piacere.
La moglie a quella promessa faceva una risata che echeggiava in tutti gli angoli della bottega e faceva scotere i burattini appesi al filo, i figli strillavano dal piacere, e i garzoni per risparmiar la voce facevano sette e otto riverenze col capo.
Una settimana la bambola la vendé davvero, e la vendé la bellezza di 40 lire a un americano, che vedendola in quella bottega vecchia sotto la campana, se ne invaghì, e il sor Timoteo gliela dette per una bambola antica, un modello di gran valore trovato negli scavi di Pompei. L'americano andò via contento col suo tesoro, ma più contento di lui era il sor Timoteo. Si messe fino a ballare colla sora Timotea, dando calci ai cavallini di legno, ai tamburi e ai carretti, e i ragazzi si messero a strillare e giravano anche loro attaccati alla sottana della mamma.
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