Adoperò gli unghioli, e non concluse nulla: adoperò i denti e nulla. Rifinito allora dallo strapazzo e dalla fame, cominciò a piangere come un bambino.
- Chi è che piange? - domandò un grosso topo, che passava per caso da quella parte.
- Sono io!... sono un povero scimmiottino che muore di fam...
Ma non poté finire la parola, perché gli fu troncata a mezzo da un lunghissimo e sonoro sbadiglio.
- Esci fuori, e mangerai.
- Si fa presto a dire esci fuori: ma lo vuoi intendere che non posso uscire?
- Perché?
- Perché non mi riesce di rompere il sacco.
- Lascia fare: il sacco lo romperò io.
Detto fatto, il topo si distese lungo sull'erba, e cominciò a rosicchiare con quanta forza aveva ne' denti.
Ma il sacco non cedeva, perché era più duro del cuoio.
- Quanto tempo ti ci vorrà per bucarlo? - domandò lo scimmiottino.
- Il sacco resiste: ma in quattro o cinque mesi spero di averlo bucato!
- Cinque mesi? - strillò di dentro il povero Pipì - ma dopo cinque mesi troverai nel sacco appena i miei ossi e i miei unghioli!...
E ricominciò a piangere più forte che mai.
- Chi è che piange? - domandò un vitello, che pascolava lì vicino.
- È un disgraziato scimmiottino, che non può uscire di dentro da quel sacco - rispose il topo.
- Perché non può uscire?
- Perché il sacco è così duro, che non c'è verso di romperlo.
- Lascia fare a me, che con un cozzo delle mie corna, lo sfonderò, come se fosse fatto di foglie di lattuga.
E il vitello, senza stare a dir altro, si tirò indietro: e presa la rincorsa, andò a testa bassa a battere una terribile cornata nel sacco.
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Pipì
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