Giunto dinanzi allo specchio, dič una prima occhiata a volo: e tiratosi indietro spaventato, cominciō a strillare disperatamente:
- Oh! come son brutto!... Oh! mamma mia, come hanno sciupato il tuo povero scimmiottino!... Non sono pių io!... Non sono pių Pipė!... Mi hanno vestito da uomo... e sono diventato un mostro da far paura. Non voglio pių star qui: voglio andarmene... voglio tornarmene a casa mia. Non voglio pių questi vestitacci; no, no, no!...
E, gridando e avvoltolandosi per terra, si levō le scarpe e le buttō nel camminetto: tirō il cappello sul viso al sarto, si strappō il fazzoletto bianco dal collo: e spiccato un gran salto, uscė fuori dalla finestra e si dette a correre per i campi.
Povero Pipė: correva e correva: ma non aveva ancora fatto cento passi, che sentė afferrarsi per i calzoncini, dalla parte di dietro, e si trovō sollevato da terra; in bocca a un grosso cane di Terranova.
(Continua)
Cap. V.
Il cane di Terranova era uno di quei cani pasticcioni, intelligenti, amorosi, che si affezionano al padrone, come l'amico all'amico.
Non gli mancava altro che la parola per essere quasi un uomo. Di soprannome lo chiamavano Filiggine, a causa del suo pelame nero morato, come la cappa del camino.
Quando Adolfo si accorse che Pipė tirava a scappare, fece un fischio a Filiggine: e Filiggine, in quattro salti, raggiunse lo scimmiottino, e presolo, come giā s'č detto, per i calzoncini dalla parte di dietro, lo riportō pari pari in casa del padrone.
- Perché mi volevi scappare? - gli domandō Adolfo in tono di rimprovero.
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