- Volentieri.
Adolfo chiamò il cameriere: e il cameriere portò subito un grazioso parasole, dipinto con grandi fogliami di bellissimi colori azzurri e verdi.
Pipì prese l'ombrellino, l'aprì, e cominciò a girare intorno alla stanza, dando continuamente delle lunghissime occhiate al canestro delle nespole giapponesi.
- Amico mio - disse allora Adolfo - se indugi un altro poco, farai notte senza avvedertene, e ti toccherà a viaggiare al buio.
- Io di giorno non so camminare - rispose Pipì. - O non sarebbe meglio che partissi questa sera dopo cena?
- Padronissimo di fare come credi meglio.
E nel dir così, Adolfo lasciò balenare in pelle in pelle un risolino canzonatorio, che pareva volesse dire: "Caro il mi' ghiottone! Ho bell'e capito qual è il tuo debole: lascia fare a me, che ti domerò io!"
Quando fu l'ora della cena, Pipì, senza nemmeno aspettare di essere invitato, andò a sedersi alla tavola dov'era seduto Adolfo: ma questi pigliando un tono di voce serio e padronale, gli disse:
- Che cosa fate costì?
- Vengo a cena anch'io.
- Le persone che vengono alla mia tavola, le voglio veder vestite decentemente. Andate subito a mettervi la giubba.
- Io... con la giubba... non so mangiare. La giubba non me la metto.
- Allora ritiratevi là, in fondo alla sala e contentatevi di assistere alla mia cena.
Quando Pipì si accorse che Adolfo diceva sul serio, si dette a piangere e a strillare: e piangendo e strillando scappò dalla stanza: ma dopo poco tornò.
Quando rientrò nella stanza, aveva la sua giubbettina infilata e tutta abbottonata, come un piccolo milorde.
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