Un desiderio ardente di vederla, quella buona fata, s'impadronì di Annuccia.
- Oh, se mi vedesse qui sola, e sapesse che la mamma mi ha lasciata a casa e mi sgrida sempre, verrebbe certo a consolarmi come consola tutti i bambini infelici! - E salì fin sull'ultimo scalino perché la fata potesse vederla caso mai s'affacciasse a un finestrino.
A un tratto il coricino parve volesse saltarle fuori! Immaginate che s'era accorta che il terreno al di là del muro era lì a un mezzo metro da lei, e con un salto ella poteva scendere nel giardino della fata!...
(Continua)
Un minuto dopo Annuccia si strisciava lungo i grandi olmi, verso la casina misteriosa. Poco mancò non cadesse nel laghetto, ma finalmente arrivò senza fiato e pallida per la commozione, sotto il largo tetto della casina di legno.
- Mio Dio! e se non fosse la casa della fata? - pensò. - E se saltasse fuori un canaccio?
In quel momento ella avrebbe voluto trovarsi ancora nel salottino della mamma a studiare la sua Perrette au pot-au-lait.
- E se ci sta proprio lei, la fata, che cosa mi dirà a trovarmi qui?... e che cosa dirò io a lei?
Svoltò pianino l'angolo della casa e si trovò davanti a un piccolo portico, a una veranda tutta chiusa da vetri. Essi erano così appannati che si stentava a distinguere bene che cosa ci fosse dentro, ma Annuccia appoggiò anche lì il suo nasetto, e le parve di vedere tre bambini vestiti di bianco, all'ombra di una palma, e con intorno piantine di rose e di giacinti fioriti.
La maggiore, una bambina sui dieci anni, era adagiata in una seggiola a sdraio, e aveva un aspetto patito, poverina, ma era tanto bella! e sorrideva tristamente ai suoi fratellini che giacevano vicino a lei.
| |
Annuccia Continua Annuccia Dio Perrette Annuccia
|