Annuccia trasalì.
Dietro i tre bambini s'era sollevata una tenda turchina, e una figura di donna era apparsa, e vi rimaneva immobile.
Era lei! la buona fata! Vestita di nero, con una croce d'oro sul petto: i suoi capelli inargentati, fini, incorniciavano un viso pallido, affilato, triste; ma giovine e dolce nella sua tristezza.
Ella guardava quella bambina che stava affacciata ai vetri: poi lasciò ricader la tenda dietro di sé e s'avanzò lentamente.
- Chi è? - chiese con una voce tranquilla e colle labbra che s'aprivano a un sorriso - mentre spalancava i vetri. Annuccia si tirò da una parte e, per la prima volta forse, s'intimidì.
- Di dove vieni?
La bambina esitò un momento, poi rispose con una voce tremante: - Dal muro...
- Dal muro?!
- Sì... ho scavalcato il muro... del giardino.
- Ah! e perché? Chi cerchi?
- La buona fata - rispose Annuccia senza mai alzar gli occhi.
- La fata?... dei bambini infelici?
- Sissignore.
- Oh, vieni pure, carina, vieni dentro. - E presala per mano, entrò sotto il portico.
Annuccia si trovò in faccia ai tre bambini vestiti di bianco; e spalancò gli occhi sorpresa. Erano di marmo!
- Oh! - fece attonita; - poi dimandò sommessamente.
- Sono forse i tre poveri bambini morti della duchessa?
- Sì - rispose la fata - e accolse le tre belle testine di marmo in una lunga, dolorosa occhiata: poi sollevò la tenda turchina, e disse all'Annuccia: entra.
Che stanza di fata!... Alle finestre v'eran de' vetri colorati gialli e azzurri, che mandavano una luce quieta, strana, che non pareva di questo mondo.
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Annuccia Annuccia
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