Voleva anzi che girassi al buio, che mi lasciassero montare su per le seggiole e su per i tavolini, senza quelle solite ammonizioni dettate dallo spavento e che fanno sempre l'effetto di farvi andare per le terre davvero. Voleva che non fossi un vigliacco, ed io l'ho servito anche troppo rompendomi la testa, cincischiandomi le mani, cadendo senza piangere, montando su per i muri e su per i tetti come una lucertola e come un uccello. Una volta correndo su per un muro caddi dall'altezza di dodici o quattordici braccia nell'orto di un nostro vicino. Fortuna che trovai sotto una massa di concime che mi ricevè, anzi mi seppellì nelle sue soavissime braccia. Come non fosse stato nulla, mi rialzai, e tutto impastato com'ero, invece di chiamar gente che mi aprisse e mi facesse uscir fuori per l'uscio di casa, mi messi a arrampicarmi per lo stesso muro e tentare la scalata. Tempestai un'ora senza concluder nulla altro che di spellarmi le mani, quando una serva che sentì nell'orto un certo arramaccio s'affacciò alla finestra, mi riconobbe, e gridò: O che ci fa costaggià lei? Io rosso come un gambero, e sudicio come un certo animale, risposi: Eh nulla: sono cascato dal muro, e ora rimonto; non dite niente a nessuno. Ma quella corse giù e mi strappò, proprio mi strappò dalla muraglia, e mi strascicò in casa. I padroni vedendomi in quell'arnese, così scalmanato, così arruffato, mi persuasero a spogliarmi, a lavarmi e a entrare un pochino nel letto tanto per ripulirmi e mettermi al sole i panni.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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