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      Perchè aspettassi e stessi fermo, mi dettero dei dolci e mi si messero tutti d'intorno al letto, facendomi raccontare com'era andata. Come facessi il racconto non lo so, ma mi rammento come fosse ora che si buttavano via dalle risa. Quando mi ebbero strigliato e rimesso tutto a nuovo mi fecero riaccompagnare a casa dalla serva. Nell'atto di picchiare mi frugai in tasca e cercai un pezzo un coso di due soldi che sapevo d'averci: lo tirai fuori, e mettendolo in mano alla serva con una certa imponenza frettolosa, le dissi: Non t'hai a far vedere; tieni e vai. Arrivato davanti a mia madre, siccome oramai la cosa era andata bene, non potei reggere alla smania di raccontarle tutto. Un po' mi gridava, un po' si spaventava, un po' voleva correre a ringraziare i vicini che m'avevano soccorso; ma quando le dissi proprio sul serio: Non importa che tu ci vada perchè ho dati due soldi alla serva; — non si potè reggere e dette in uno scoppio di risa. Un'altra volta nel fare all'altalena rimasi infilato a un gancio per una coscia, e mi feci uno strappo di un sesto di braccio. Non piansi, non fiatai: ma siccome sentivo il caldo della ferita, corsi nell'orto e colta una gran foglia di cavolo mi ce la legai sopra, credendo che quel fresco fosse un rimedio sicuro. Grazie ai miei umori sanissimi, lo sdrucio si richiuse da sè; ma io seguitavo la cura del cavolo colla fiducia con che un ammalato di febbre terzana seguiterebbe quella del chinino. Il fatto sta che nessuno se n'era accorto, ma una mattina la donna nel rifarmi la cuccia, trovò la foglia miracolosa che, al vedere, nella notte mi s'era sciolta, ed io m'era levato senza pensarci.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416