Il primo giorno masticando quel po' di pane diceva: Dunque era meglio lasciarlo bruciare — . . . . ma in quel punto comparve il cameriere con un tovagliolo pieno di roba e mi disse: Questa gliela manda il Rettore, ma purchè non dica nulla. — Allora capii che avevo fatto bene a spegnere il Prefetto . . . .»
Il sistema d'educare e d'istruire in quei tempi era barbaro: s'insegnava a leggere coll'Abbecedario da una mano e il nerbo dall'altra; s'insegnava il latino col Limen grammaticæ, cioè con un libro scritto in quella stessa lingua che si trattava d'insegnare; la poesia col Frugoni; la prosa col Roberti; la morale colla seconda Egloga di Virgilio; la gentilezza con certi Prefetti rubati alla vanga e all'aratro. Non farà dunque meraviglia se in principio egli si facesse notare più per le monellerie che per gli esametri; ma avendo poi stretta amicizia coll'alunno Giacomo Baratta,7 cominciò seco a studiar con piacere, che è quanto dir con profitto, finchè nel novembre del 1826 venne all'Università di Pisa.
«Spiccai la mia carriera poetica a dodici anni col dare ad intendere a un mio maestro d'aver fatto io un sonetto che era del Benedetti. Il maestro non se la bevve, anzi ne incollerì; ma sebbene il sonetto fosse stampato, non seppe convincermi di furto colla prova alla mano, e rimanemmo tutti e due, egli nell'incredulità io nella bugia. Chi avrebbe pensato da questo brutto principio che io in seguito avrei, o bene o male, fatto di mio? Pochi mesi dopo feci di mio davvero certe ottave sulla Torre di Babele, e mi duole amaramente di non averle serbate, e non so quanto pagherei a chi me le ritrovasse; perchè se non altro dal lato dell'armonia imitativa ho in testa che dovessero rendere mirabilmente la confusione tra quei muratori di Nembrotte.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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