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      CAPITOLO QUINTO.
      POETI SATIRICI.
      Nel novembre del 1834 si recò il Giusti in Firenze a far le viste17 di far pratiche presso l'Avvocato Capoquadri; ma nel fatto continuò la vita medesima, la mattina studiando il suo Dante, e la sera divertendosi, e «tenendo per così dire una gamba nelle regioni del buon senso, l'altra in quelle del buon tono.»18
      Innanzi però di vedere i passi che fece fare alla nazionale poesia, non sarà inutile conoscere fin dove la poesia satirica fosse arrivata ai suoi giorni.
      È la Satira un genere di componimento nato e cresciuto in casa nostra: Lucilio la creò,19 Orazio, Persio e Giovenale la perfezionarono. Prova del merito di quei loro versi è l'apparirci sempre pregevoli, nonostante quello che hanno perduto di grazia per noi che non sappiamo neppure pronunziar la lingua in cui furon dettati. Tuttavolta di gravi difetti si reser colpevoli quei tre valenti scrittori. Orazio rende spesso amabile il vizio, e più che spesso loda colui che distrusse la libertà della patria: cose turpi in ogni tempo, in ogni paese, e che tali dir si potranno anche senza saper pronunziare correttamente l'alfabeto di quella lingua; Giovenale per correggere i costumi offende non di rado il pudore, che è dei costumi la prima salvaguardia; Persio, vivendo sotto Nerone e temendone la ferocia, non ebbe nè la furberia di stare zitto, nè il coraggio di parlar chiaro. Per la qual cosa riesce talvolta assai oscuro, non perchè voglia scrivere con brevità, ma perchè vuol vivere con sicurezza: si vede bene che gli preme più la pelle dello stile.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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