) e l'elogio del forno, di cui, o lettore, nulla ti dirò, perchè se hai una figliuola voglio che tu possa lasciar questo mio libro sul suo tavolino da lavoro. Non dico già che non si trovi spesso in questi scrittori una certa allegria; ma è pagata troppo cara; sale ve n'è, ma è sal grosso. In alcuni peraltro manca talvolta anche questo pregio; e tale è la noia che m'ha tormentato nel legger le loro satire, che se io fossi poeta vorrei per vendetta scriverne una contro le satire noiose. Pietro Aretino scrisse capitoli a Cosimo I, al Principe di Salerno, al Duca di Mantova, a Francesco re di Francia, sempre per pitoccar danaro: i modi che impiega son tanto vili, quanto lo scopo che si prefigge. Ma non giova trattenerci sopra uno scrittore il cui nome è oggi divenuto un'oscenità, e che avvilì l'ingegno che vien da Dio, a chieder la limosina ai principi, e ai principi stranieri.
Ma i satirici italiani non furon tutti, grazie a Dio, d'una tempra; anzi ve n'ha taluno che seppe ricondurre la satira al suo vero ministero. E primo fra questi per ordine di tempo e di merito non dubito di collocar l'Ariosto, sebbene abbia anch'egli pagato talvolta il tributo al suo tempo.20 Egli è autore di sette satire, le quali sia per il concetto, la forma, lo stile, si fan conoscer figlie di quella penna che scrisse l'Orlando. Successe all'Ariosto Salvator Rosa, da cui il Giusti diceva aver imparato i generosi rabbuffi. Dopo il Rosa venne il Menzini, nato in Firenze in una di quelle casupole triangolari fabbricate sulle pigne del Ponte alle Grazie, anticamente detto a Rubaconte.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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