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      Della legislazione non parlo: la tortura era lume a rintracciare le colpe; l'arbitrio norma ad infligger le pene e queste consistevano quasi sempre in multe da pagarsi al Fisco, il quale figuratevi se ne era diligente ricercatore. Chi, non avendo denari, veniva per così dire a defraudarlo, pagava con duo tratti di corda et arbitrio del Fisco defraudato. Che dirò dei costumi? L'ozio era divenuto una professione; il godere salito a dignità di scienza; occorreva maggior abilità per saper mangiare, che per guadagnarsi da mangiare; nulla stimavasi la nobiltà del cuore appetto a quella del sangue; il cicisbeo era messo per patto nella scritta nuziale; l'uomo, la più bell'opera di Dio, veniva evirato perchè cantasse più soavemente le lodi di Dio.
      Costumi sì depravati sembravano fatti espressamente per ispirare gli scrittori satirici: e ne sorsero vari e valenti. Il Casti col Poema tartaro, e più cogli Animali Parlanti prese a percuoter le Corti, le quali se eran già inique a tempo del Tasso, non è a credere che a suo tempo fosser divenute migliori. Egli deve a buon dritto salutarsi inventore della satira che si potrebbe forse dire aulica: se non che il lento proceder dell'azione genera nel lettore una certa stanchezza, difetto che non isfuggì allo stesso Casti, e che gli fece dire che avendo scritto quel poema all'età di ottant'anni, gli era mancato il tempo d'esser breve.24 Nè vuolsi dimenticare Gaspare Gozzi, autore di gravi Sermoni, nei quali lo stile è sempre elegante, l'eleganza sempre animata; nè l'Alfieri, autore di buone satire, dalle quali però voglio escludere il Misogallo, dettato piuttosto da un personale risentimento che dall'amore della virtù; perocchè mi sembra che il poeta non sempre debba prendere le sue ispirazioni dalla stizza, nè che la stizza abbia sempre ragione.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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