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      Ma al giovane poeta mancava un forte elemento di poesia, il dolore; e questo severo amico dell'uomo venne pure ad illuminar la sua anima. «Chi non ha sofferto che cosa sa mai?27 Le disgrazie schiudono la mente alla verità: le disgrazie fanno ritornar l'uomo al cuore.»28
      Nell'autunno del 1835 io era a Lucca, e al Teatro incontrai il Giusti, e dopo una stretta di mano mi disse sotto voce:
      — Sai? sono innamorato.
      — E di chi?
      — Guarda, ma senza parere, quella signora.
      — Quale?
      — Quella che è volta verso di noi.
      E mi accennò una donna bellissima, la quale (cosa strana) dal volto, dagli occhi, dal contegno pareva che non sapesse d'esser bella. Qualche tempo dopo essendosi recata colla famiglia ai bagni di mare, il Giusti le scrisse quei versi bellissimi All'Amica lontana. Ma il momento venne in cui seppe d'esser dimenticato. All'improvviso sbigottimento successe un'ira terribile; poi gli spasimi segreti, e l'andar frettoloso e senza saper dove, e le notti piene di urli e di lacrime. La seguente lettera al Tommasi ci fa sapere come allora componesse il sonetto La Fiducia in Dio.
      «Scrissi quei quattordici versi in un tempo che l'animo mio per diverse cagioni era pieno di amarezza; e siccome credo che noi stessi ci procacciamo la maggior parte dei mali che ci vengono addosso, invece d'inveire contro i santi o contro i diavoli e affettare la ciarlatanesca fraseologia del suicida, avrei voluto dire il Pater noster di buona fede, e invidiare lo spirito della donnicciuola che con una giaculatoria crede d'aver fatto le corna a tutti i birboni dell'universo.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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