Ma gli uni e gli altri sommati, non si potevano dir molti; i più, numericamente parlando, erano delle cose politiche o ignari, o indifferenti, o nemici: cioè o non ne sapevan nulla, o nulla ne volevan sapere. Il Giusti si tenne costantemente lontano dalle cospirazioni,29 dicendo col Machiavelli «che i troppi le guastano, e i pochi non bastano30» si dette perciò a favorire la libertà per mezzo dell'educazione popolare31 e soprattutto coi suoi versi mirabili.
Il primo lavoro con cui si rivelò agli altri e a sè stesso, fu il Dies iræ, scritto in morte dell'Imperator Francesco. I giudizi che se ne dettero allora non furono uniformi: le donne e i giovani, che danno il loro parere senza tanti riguardi, all'udir quei versi dicevano: Ma questo è nuovo, ma questo è utile, ma questo è bello! I pedanti però li riguardavano con quella ostilità con cui guardano sempre le cose nuove; trovavan giuste le idee, ma troppo bassa la forma; ridevano di quei frizzi, ma poi s'indispettivano d'averne riso; l'accusavano principalmente di non essere uno scrittore come voleva il gusto del giorno, «e non s'avvedevano che l'opera che dee divenir più di moda, sarà necessariamente quella che rassomiglierà meno a tutte le altre state di moda fino allora.32»
Al Dies iræ successe la Legge penale per gl'Impiegati, Lo Stivale, A San Giovanni, il Brindisi, L'Apologia del Lotto, ove rilevansi i progressi che faceva nella difficile arte dello scrivere.
L'Incoronazione fu il componimento che gli dette vera fama di valente scrittore.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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