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      Questa poesia (egli dice) «s'alza un po' sulle altre, ed è una razza di satira che invade le regioni della lirica. Potrà parere di due colori a chi non consideri che in quell'occasione le persone (tanto recitanti che spettatori) erano ridicole, e il fatto serio. L'autore tenendo dietro a quelle che si chiamavano modificazioni dell'animo, non ha potuto trattare gravemente le persone, nè burlescamente le cose.»33 Si rilessero allora tutti i suoi versi precedenti, e coloro che alla prima gli avevano reputati mediocri, gli trovarono mirabili. Come mai, diceva taluno, non me n'ero accorto?.... Ah! ecco: gli ho uditi da uno che li leggeva così male!.... ma letti con garbo.... così .... fanno altra figura.
      «La Vestizione (continua il Giusti) è una satira un po' più toscana delle altre, perchè sebbene chi fonda commende sia stolto e ridicolo per tutto, in Toscana (dove la repartizione dei beni è quel che è in grazia della legge che abolì i Fidecommessi e le Mani-morte) è stoltissimo e ridicolissimo. Dall'altro canto, mutato il nome dell'Ordine, può essere una giubba buona a Torino, a Milano, a Roma e a Napoli.»34 Si credette riconoscere la persona che il Giusti avea voluto ritrar nel suo Becero, come molti avevano creduto di ritrovare l'originale delle Femmine puntigliose del Goldoni, allorchè questa Commedia fu rappresentata le prime volte. Taluno per assicurarsene ne richiedea il Giusti, il quale andava sulle furie. Egli voleva dipingere l'umanità, non l'individuo; voleva essere un pittore istorico, non un povero ritrattista; voleva colpire i viziosi in massa, non uno alla volta; farne per dir così una retata, non pescarli all'amo o a mazzacchera.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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