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      I dolori dell'animo vennero in questo modo ad accrescere i fisici patimenti, talchè credette esser veramente presso a morire. In questo mesto pensiero scrisse ad Atto Vannucci la lettera seguente che non può leggersi senza profonda commozione, pensando al momento solenne nel quale egli affidava il suo onore a un amico.
      Mio caro Vannucci
      Livorno, 14 settembre 1844.
      Non crepa un asinoChe sia padrone
      D'andare al diavoloSenza iscrizione.
      «Questi versi scritti anni sono mi fanno temere che qualcuno dopo la mia morte possa essere tentato a scrivere qualcosa di me; e siccome in vivendo mi sono mostrato sempre tale e quale, non vorrei che mi si potessero abbaiare sul sepolcro altri versi dello stesso Scherzo che dicono:
      Ma dall'elogioChi t'assicura,
      O nato a vivereSenza impostura?
      Morto, e al biografoCascato in mano,
      Nell'asma funebreD'un ciarlatano
      Menti costretto,
      E a tuo dispettoImbrogli il pubblico
      Dal cataletto.
      » Dunque, per mettere le mani avanti, se mai si desse il caso che io me ne dovessi andare, prego te a salvarmi da ogni pericolo, scrivendo poche righe sul conto mio. Tu sei uomo sincero, di buoni principii e d'indole liberissima, ed è per questo che voglio mettere la mia memoria nelle tue mani. Mi sarebbe grave specialmente una lode e un biasimo non meritato, e vorrei o che si tacesse del tutto o che si parlasse di me colla stessa franchezza colla quale ho scritto io medesimo quel poco che lascio.
      » Sono nato a Monsummano nel 1809, poi passato colla famiglia a Montecatini, e finalmente a Pescia nel 1828. Della mia prima infanzia noterò, per mera piacevolezza, due buffonate: una che mio padre non volle che la levatrice m'accomodasse il cranio come usano fare, sebbene l'avessi cacciato fuori della forma di un pane di zucchero, motivo per cui sarebbe un'indiscretezza l'accusarmi di aver fatto di testa, e di non essermi assoggettato alle regole dei cervelli rimpolpettati; l'altra che lo stesso mio padre, appena cominciai a spiccicare le prime parole, mi insegnò il Canto del Conte Ugolino, e di qui potrebbe darsi che fosse nato l'amore alla poesia e allo studio continuo della Divina Commedia.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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