Nè si stancava anche di lavorare sopra altre composizioni che saranno presto date in luce, e sopra altre di cui ci restano preziosi frammenti. Egli, come dicemmo a suo luogo,124 non scriveva di getto, ma imprendeva più lavori alla volta, mandandoli poi innanzi tutti insieme come il pastore fa delle pecorelle; e dovè essere per lui grande amarezza vederle flagellate dalla grandine e disperse dalla bufera, prima d'averle ridotte all'ovile. Così lavorando e soffrendo, si avvicinava al suo fine con quella calma che soccorre coloro i quali credono non dovere colla vita tutto aver termine. E questo sentimento non aveva già acquistato il Giusti, come in taluno avviene, coll'appressar della morte; perocchè fino dai suoi primi lavori si manifesta vivissimo, e si vede che l'accompagna come un amico fedele in tutto il corso della sua vita. Infatti, fino dal 1845, scriveva al Capponi:125 «La fede in Dio, e quella nel proprio simile, per me si dànno la mano, e l'ateo (se può darsi, chè non lo credo) è di necessità il primo nemico del genere umano, e di sè medesimo.» Da questa fede che aveva nella Provvidenza e negli uomini, trasse l'abnegazione che dir gli facea, «è finito il tempo di vivere a conto proprio;» trasse l'ispirazione per cui armato d'amore, d'ingegno e di collera, seppe farsi caro e proficuo agli onesti, intrepidamente avverso ai malvagi, ai neghittosi utilmente molesto; trasse il coraggio per affrontare i rischi dell'originalità, e il veleno dei serpi calpestati, e la rabbia dei pedanti anche più terribile del veleno; trasse infine quella pace dell'animo che gli fece aspettare con serenità il suo ultimo giorno.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Giusti Capponi Dio Provvidenza
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