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      Lo ringraziammo, e si seguitò la strada senza incontrare più nulla di nuovo, fino ad una specie d'osteria, che sulla sera ci convenne visitare per un bicchieretto.
      S'entra in casa, e la stanza d'ingresso era insieme magazzino, armeria, bottega e cucina. L'impiantito del solajo era al solito di tavole. Chiama di sotto, chiama di sopra, non rispondeva un'anima; e noi correvamo come padroni quella stanza ed un'altra contigua, che per l'oscurità dell'ora e del luogo non mi raccapezzai a che fosse destinata. Finalmente si pensò di mettersi a sedere e aspettare il padrone di questo nuovo albergo d'Eutichio della Castagna. Il mio amico sedè sopra una madia, io in una panca zoppa che mi cullava graziosamente. A un tratto sento scricchiare e muoversi il solaio sotto i piedi. Perdio, si rovina, gridai, e feci l'atto di alzarmi; se non che mi trovai una testa fra le gambe, ed era quella del padrone che per una bodola scaturiva di cantina. Non si maravigliò punto, anzi sorrise, e ci presentò il vino che non s'era chiesto, ma che egli, udendoci chiamare, aveva attinto alla botte senza rispondere, o per indolenza, o perchè a forza d'urli ci crescesse l'arsione.
      — Aveste paura quella notte della piena?
      — Eh! a dir di no, sarebbe una bugia.
      — Vi fece del danno?
      — Che danno vuol che mi facesse? Non ho terre mica. Anzi posso dire che m'abbia fatto del bene, perchè tra tutto ho messo insieme da scaldarmi tre anni.
      — Delle legna portate dal fiume, non è vero? Ma che legna erano?
      — Che legne erano! Fittoni di capanne, travicelli, castagni, pezzi di seggiole.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Eutichio Castagna