— Uscì la messa, e si vedde allagato tutto il piano. Vede? l'acqua prendeva di là mai più lontano di quella casa, e arrivava qui dov'è il segno della mota quasi a mezza finestra. Quest'uomo va per tornare a casa, e tutto a un tratto non vede più nè la casa nè il podere, che erano stati portati via. Povera Catè, chi sa a quest'ora dove sarà colla bimba....
— Mio Dio! (gridammo) che c'era gente in casa?...
— Pur troppo! gnor sì, la moglie e una bambina d'otto mesi che aveva al petto.
Quell'uomo non parlò mai, e preso non so che dall'oste se n'andò con quel canterellare rotto e sospiroso che manifesta il dolore, lo sgomento e lo stupore d'una disgrazia accaduta di fresco.
Si seppe poi per il solito canale, che il disgraziato fino dai primi anni della sua giovinezza soleva andare a vendere le figurine di stucco (commercio curioso ed esclusivo di quei paesi), oppure in Corsica al lavoro dei campi o al taglio dei boschi. Quella casa, quel poderetto erano il frutto di questa vita nomade e penosa, e di quella po' di dote portatagli dalla Caterina (che l'abbreviano in Catè). Il fiume l'ha fatto nuovamente mendico, solo e ramingo sulla terra.
Intanto s'era fatto notte, e l'oscurità sempre crescente, togliendoci la vista dei poggi e delle campagne, ci lasciava muti nei raccoglimenti di tanti pensieri diversi. Questi casi terribili si affacciavano ogni poco all'amico ed a me, perchè ogni poco, ora egli, ora io, ripetevamo: Che disgrazie! Povera gente! La stanchezza sopì a poco a poco piaceri e dolori, e a dirla schietta non avevamo più mente, se non per contare i passi che facevamo, o per cercare altri pensieri da divagarsi dal cammino.
| |
Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
|
|
Catè Dio Corsica Caterina Catè
|