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      che fra tre mattoni in Rubaconte
      Nacque.....
      E a proposito di quest'ultimo sappiate, che ho tentato (ma per mio studio) di commentarne le satire, perchè mi pare che fino a qui questo canonico bilioso non abbia a lodarsi molto de' suoi freddi scoliasti: perchè o gli hanno fatto un contorno barocco, o te l'hanno spinto in piazza come Orsatto,
      Per cui non si trovò bara nè coltre.
      All'anno nuovo vi mostrerò il lepidum novum libellum . . . . . namque tu solebas — Meas esse aliquid putare nugas. Addio. Un bacio a Momo.
      6.
      A Cesare.....
      Firenze.... 1837.
      Caro Cesare.
      Siccome credo che a quest'ora respirerai delle lunghe fatiche portate, e che non farai in capo al giorno tante migliaia di zeri, quante ne facevi qualche mese fa, ti scrivo, senza tenerti obbligato però a rispondere, se il lavoro e la noia dura tuttavia. Ti darò le novità della capitale, poi le mie anticaglie.
      Il carnevale qua per il mondo elegantissimo è noiosissimo, vario e dissipato. Ogni sera una festa o da' paesani o da' forestieri; ogni sera grandi scialacqui e grandi spese; rosbif divorati, bottiglie di sciampagna asciugate. Io non sono uscito ancora dalla trattoria. Per noi plebe v'è la Pergola a pochi soldi; vi sono le piccole soirées dansantes, ove si può andare con stivali e guanti di colore: vi sono insomma i piccoli divertimenti qualche volta più allegri dei grandi. A questi vado quasi ogni sera, dopo avere passato a tavolino o bene o male tutta la santa giornata: così me ne sto nel mondo a gambe larghe, tenendo un piede nelle regioni del buon tono, l'altro in quelle del buon senso: di sotto intanto passa il fiume, ora torbido ora limpido, della vita, rodendo appoco appoco l'una e l'altra base fino a che mi porti seco nell'eternità.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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