Lontano com'era da ogni ambizione letteraria, eccomi imbarcato in questo mare, non esperto ancora a remare. Dovrei esser lieto e sono afflitto, sgomento. Quando passa un giorno (e ne passano parecchi) che non mi sia riuscito o di fare di nuovo o d'accomodare, mi trovo umiliato, scontento oltremodo. Ho immaginate molte cose, molte ne ho abbozzate, alcune incominciate, sono in un pelago, perchè non ho la fortuna dei giornalisti d'avere disposizione ogni giorno. Intanto m'ostino a non pubblicar nulla e cerco di non vedere chi mi stimola ad affrettarmi. Non conoscono i più cosa voglia dire scrivere, e chi non ha questa conoscenza si contenta del poco. Io non so scrivere, ma so, o credo di sapere, come bisognerebbe scrivere, in grazia d'aver sempre avuto fra mano i libri migliori. Già che la natura mi ha voluto così lento a credermi qualcosa, mi tengo in guardia per non lasciarmi persuadere o tentare dalle lusinghe degli altri. Non ostante, la lode di tali uomini dirò liberamente che m'ha non insuperbito, no, ma animato, e compensato quasi delle molte umiliazioni alle quali per la mia poca esperienza e per l'iniquità altrui sono andato soggetto. Se avrò pace, se non mi verrà meno l'animo, spero di non vivere inutilmente. Intanto scrivendo non avrò in mira se non il bene e l'utile del mio paese; e senza credermi mandato da Dio come molti si credono e si credettero, tenterò di spargere delle massime forti e salutari per via dello scherzo. Ma torno a ripeterti con sincera effusione di cuore che mi pone in grande imbarazzo questa popolarità che prendono i miei versi, perchè ho coscienza, e non vorrei scroccarla ma meritarla.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Dio
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